Federico II e la Falconeria
Federico II e la Falconeria
a cura di Alberto Gentile
Scene di falconeria sono rappresentate negli affreschi egizi più antichi. La caccia con il falco era conosciuta in Cina già 2000 anni prima Cristo, i romani la praticarono in tutte le province dell'impero, mentre se ne ha notizia in Giappone, in India ed Persia nel VII secolo della nostra Era; in Europa fu introdotta con successo a partire dalla seconda metà del IX secolo.
La caccia con il falco affascinò anche Federico II. Per lui rappresentava da un lato una manifestazione simbolica del potere legata a precisi rituali ed alla costruzione di apposite strutture; dall’altro uno svago, anzi, una vera e propria una passione che coltivò per tutta la vita, oltre che un mezzo per conoscere meglio la natura. Egli non era contento della sola pratica di questo sport; voleva conoscere tutto, e si documentò leggendo ciò che fino allora si conosceva degli uccelli e della caccia con i rapaci, convocò alla sua corte molti abili falconieri mediorientali ed introdusse l'uso dell'azione tranquillante del cappuccio (appreso dal mondo arabo) in sostituzione alla traumatica tecnica di "cigliare" (cucire le palpebre dei rapaci per poi allentare gradualmente la chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento) che fino ad allora era in uso in Europa. In pratica ha aperto la strada della falconeria nel mondo occidentale, concepita nel rispetto del rapace. Sicuramente non fu soddisfatto di ciò che lesse o seppe dai suoi esperti tanto che iniziò a studiare direttamente il comportamento degli uccelli, fino ad avere tanti dati a disposizione da poter redigere un vero e proprio trattato di falconeria: il DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS.
Federico II in trono - De Arte Venandi Cum Avibus, Città del Vaticano, Bibblioteca Apostolica Vaticana.
L'imperatore in una scena di caccia, una miniatura da L'art de la chace des oisiaus, Parigi, Bibliothèque National de France, ms fr. 12400 (inizi sec. XIV: è la traduzione francese del ms. pal. lat. 1071, voluta da Jean II signore di Dampierre e di Saint Dizier).
Federico II aveva letto Aristotele nelle traduzioni di Michele Scoto. Pur apprezzandolo come filosofo, lo criticò come ornitologo tanto che ebbe a dire: "Nello scrivere abbiamo anche seguito Aristotele, quando ciò appariva necessario. In alcuni punti, tuttavia, siamo dell'opinione, sulla base delle esperienze da Noi condotte, che, per quanto concerne la natura di determinati uccelli, egli si sia allontanato dalla verità. Pertanto non in tutto concordiamo con il Principe dei filosofi giacché mai o solamente di rado egli si dedicò all'aucupio, a differenza di Noi che l'abbiamo sempre amato e praticato. Aristotele narra molte cose sugli animali specificando che furono altri a dirle; ma ciò che altri sostennero, egli stesso non vide né fu visto da coloro che per lui si resero garanti.
De Arte Venandi Cum Avibus, Città del Vaticano, Bibblioteca Apostolica Vaticana.
La certezza non si raggiunge con l'orecchio..."
L'imperatore voleva forse solo scrivere un testo per l’addestramento alla caccia dei rapaci; ma la padronanza del problema ed il metodo scientifico adottato gli consentirono di produrre un vero e proprio trattato di ornitologia. Più di 500 anni prima di Linneo (Råshult 1707 - Uppsala 1778) egli usò la nomenclatura binomia per designare le diverse specie d'uccelli.
L’opera è divisa in due parti. La prima, corredata da 500 miniature, presenta circa ottanta esemplari di volatili che possono essere catturati dai rapaci e ne descrive le abitudini, l'aspetto fisico, i modi di difesa, le tecniche di volo, tutte conoscenze indispensabili per addestrare con successo un falco. La seconda parte, utilizzando minuziose descrizioni e miniature, illustra le varie fasi dell'addestramento del falco con tutte le specifiche attività del falconiere.
tre falconieri addestrano il loro falchi - da L'art de la chace des oisiaus, Parigi, Bibliothèque National de France, ms fr. 12400 (inizi sec. XIV: è la traduzione francese del ms. pal. lat. 1071, voluta da Jean II signore di Dampierre e di Saint Dizier).
Dalla lettura di questo trattato traspare un Federico scienziato e naturalista che dedica molto del suo tempo all'osservazione degli uccelli. Per far questo egli si recava spesso a San Lorenzo in Pantano, presso Foggia, dove realizzò un parco dell'uccellagione; alle saline del Gargano, nei pressi dell'attuale Margherita di Savoia, ove ancora oggi sostano gli uccelli migratori; a Salpi, l'attuale Trinitapoli, ove c'era una vera e propria oasi; ed in altri luoghi della Capitanata, nei boschi vicino Melfi in provincia di Potenza .
Purtroppo il manoscritto originale dell'imperatore è andato perduto durante la disfatta di Parma del 1248; quello che ci è pervenuto è una copia redatta dal figlio Re Manfredi dopo il 1258, certo fedele al pensiero dell'augusto autore.
da L'art de la chace des oisiaus, Parigi, Bibliothèque National de France, ms fr. 12400 (inizi sec. XIV: è la traduzione francese del ms. pal. lat. 1071, voluta da Jean II signore di Dampierre e di Saint Dizier).
Quando nel febbraio del 1266 Manfredi perse a Benevento la vita ed il regno, il trattato divenne bottino degli Angioini. Il nobile francese Jean II Dampierre signore di Dampierre e di Saint Dizier, che aveva partecipato alla campagna d'Italia, ne venne in possesso e qualche decennio dopo realizzò una versione francese, con miniature simili all'originale. Il codice di Manfredi, dopo essere passato nelle mani di vari nobili europei, è attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.
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